Questo è solo un racconto di fantasia, ma i fatti sono legati a una storia vera, anzi alla “storia”, ringrazio con affetto Flavio Almerighi per il prezioso suggerimento.

Immagine digitale elaborazione grafica personale.
C’è una luce bianca e forte intorno a me, sento freddo tanto freddo, questa terra gelida, soffice e bianca non mi fa camminare e non mi fa correre bene, perché io questo devo fare, devo correre insieme ai soldati su questa terra bianca. Ho imparato che quando suona con un suono forte e strano quella cosa che i soldati chiamano tromba, il capo soldato urla “caricaaaaa..”!!!!! Allora io devo correre con il mio soldato, perché abbiamo dei nemici da queste parti. Io non so il significato di nemico, ma deve essere qualcuno pericoloso e gli umani devono ucciderlo. Sono giorni che camminiamo in mezzo al bianco e al gelo. Anche i soldati sentono tanto freddo e stanno male, dal loro naso, dal mio naso, da quello dei miei fratelli esce fumo, quando loro parlano, quando noi respiriamo, ricordo che questo non succedeva quando correvo sui prati e la terra.
Noi cavalli sappiamo che abbiamo sempre un “dovere”, qualcosa da fare perché gli umani ce lo dicono , ci insegnano a farlo, ci insegnano a camminare come vogliono loro, a correre come vogliono loro. A noi va bene, credo che siamo nati per questo, anche se io non vorrei essere qui in mezzo al bianco e al vento freddo, vorrei essere nel verde a trottare, felice, anche con l’umano soldato, credo anche lui sarebbe felice di essere in un altro posto. L’umano soldato che sta con me deve cercare i nemici. Io lo accompagno perché è il mio dovere. Ma oggi fa freddo, ancora più freddo. Il mio umano soldato mi ha chiamato e mi ha detto “dai Albino mangia qualcosa, che dobbiamo camminare e andare avanti, c’è ancora molto da fare”.
Poi ho sentito la tromba e il “ caricaaaa!!!” Abbiamo cominciato tutti a correre umani soldati e cavalli, gli umani avevano in mano delle cose lunghe e lucide, credo si chiamino” baionette”, gli altri, i nemici anche loro correvano verso di noi, ma loro usavano cose che facevano botti e fumo. Tanto rumore, tante urla, tanti umani che cadevano a terra dai cavalli, vedevo del rosso su quella cosa soffice e bianca, molti di loro non si muovevano, dal loro naso non usciva fumo, forse voleva dire che erano morti, anche i miei fratelli cavalli cadevano, in mezzo a grandi macchie rosse su quel tappeto morbido e bianco, cadendo alzavano quella cosa soffice e fredda che andava in aria come la polvere, urlavano gli umani, anche i cavalli urlavano e sentivo l’odore di quella cosa rossa, il sangue. Il mio soldato gridava “dai Albino non possiamo fermarci.” Io non mi sono fermato, nonostante non vedessi più da un occhio, e ho sentito un dolore forte e una zampa che mi faceva male e non riuscivo più a correre in mezzo a quella cosa bianca ,che era difficile da calpestare, non ho trovato nemmeno più il mio umano e allora ho cominciato a correre da un’altra parte sentivo dolore non capivo più niente.
Poi, il rumore è finito, tanti soldati piangevano in mezzo al sangue, altri non si muovevano più. Anche i miei fratelli cavalli caduti nel sangue non si muovevano più, quelli che stavano molto male gli umani li uccidevano, perché non potevano più correre, avevo paura, forse avrebbero ucciso anche me, invece no!
Un soldato insieme a quelli che ancora non erano morti, insieme ad altri soldati accompagnati da altri soldati, con il sangue sul viso, sulle mani, mi ha preso per la corda e mi ha detto “andiamo via Albino, adesso ti curiamo”, “abbiamo vinto Albino sai?”
No! Io non lo sapevo che voleva dire “abbiamo vinto”, sentivo dolore.
Sono passati dei giorni, non so quanti, anche il dolore è passato, non vedo dal mio occhio, non riesco a correre come prima, ora sto meglio, ma credo che non potrò accompagnare più gli umani soldati e correre contro i nemici. I soldati per farmi stare meglio mi hanno lasciato in una casa semplice e l’umano che era lì, che non era un soldato, mi ha dato da mangiare e io ero contento. Fuori c’era il verde e io ero contento.
Non so quanto tempo fosse passato quando l’umano non soldato con il quale vivevo mi ha portato in una bella giornata di sole in un posto dove c’erano altri cavalli e animali, gli umani la chiamano “fiera”, ad un certo punto un uomo mi ha chiamato, “Albino”, “Albinooo”, era un soldato che mi aveva riconosciuto, era felice di vedermi e mi ha abbracciato, sorrideva, era contento, allora ho capito che quella cosa che serve ad uccidere i nemici era finita.
La guerra era finita, non c’era più, i soldati che ora non facevano più la guerra mi hanno preso e portato con loro, mi volevano bene e tanta gente mi veniva a vedere, dicevano che ero “un eroe”, io non so cosa vuol dire eroe, ma credo che c’entri con la guerra con il mio occhio cieco e la mia gamba ferita. I soldati mi hanno voluto vicino a loro, ma non facevano più la guerra, mi volevano bene, erano contenti di avermi ritrovato.
Ho vissuto bene poi in una stalla con tanta biada e con Mariolino che somiglia a un cavallo ma non lo è, dicono sia un somaro, ma lui mi piace, stiamo tanto tempo insieme. Quando ci portano fuori, non posso correre, ma il mio occhio si riempie di verde, con Mariolino passeggiamo piano, non c’è’ fretta non suonerà nessuna tromba.
La guerra non c’è’ più, la guerra è finita, io sono felice perché morirò guardando il verde e forse sentendo il sole caldo. La guerra è finita, finita!
Io sono solo un cavallo ma prima di morire vorrei fare agli umani una domanda. Perché la fate la guerra? Perché la cominciate?
27 aprile 2025 🐈gattapazza
*Albino era un cavallo maremmano assegnato al Reggimento “Savoia Cavalleria” che partecipò alla ” campagna di Russia” contro l’Armata Rossa, 1941 – 1943. Il 24 agosto del 1942 il “Savoia Cavalleria” si scontrò con i sovietici usando come arma la baionetta, questa battaglia viene definita come l’ultima combattuta con quest’arma da una cavalleria. Morì di vecchiaia. Il suo corpo imbalsamato è custodito in un posto d’onore nell’androne principale del Museo del Reggimento “Savoia Cavalleria” a Grosseto. Notizie reperite dal web e Wikipedia.

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