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Termina un anno il tempo passa, da sempre ci interroghiamo su questo, con tristezza e a volte con speranza, perché un anno in più è un anno tolto alla giovinezza, alla vita, o può essere un anno che aggiungiamo alla nostra vita.
Il capodanno ha sempre un sapore un po’ amaro, nonostante si cerchi la festa capita di ripercorrere la propria vita, piena di bellezza e dolore, errori e cose di di cui andare orgogliosi, facciamo i conti con le nostre fragilità, speriamo guardando al futuro, provando a dimenticare il passato, aderendo alla normale paura di invecchiare, tralasciamo spesso la cosa più importante e più difficile.
Vivere il presente!
Allora chiedo aiuto a un poeta famoso e antico, con una poesia di cui si è analizzata metrica e traduzione, alla fine in maniera semplice ne voglio cogliere solo il senso.
Orazio-Carpe diem (Hor. Carm. I 11)
Tu ne quaesieris, scire nefas, quem mihi, quem tibi
finem di dederint, Leuconoe, nec Babylonios
temptaris numeros. Ut melius, quidquid erit, pati!
Seu pluris hiemes seu tribuit Iuppiter ultimam,
quae nunc oppositis debilitat pumicibus mare
Tyrrhenum, sapias: vina liques et spatio brevi
spem longam reseces. Dum loquimur, fugerit invida
aetas: carpe diem, quam minimum credula postero.

Tu non chiedere, è vietato sapere, quale fine a me, quale a te
gli dei abbiano assegnato, o Leuconoe, e non consultare
la cabala babilonese. Quanto (è) meglio, qualsiasi cosa sarà, accettarla!
Sia che Giove abbia assegnato più inverni, sia che abbia assegnato come ultimo
quello che ora sfianca con le scogliere di pomice che gli si oppongono il mare
Tirreno, sii saggia: filtra il vino e ad una breve scadenza
limita la lunga speranza. Mentre parliamo sarà fuggito, inesorabile,
il tempo: cogli il giorno, il meno possibile fiduciosa in quello successivo.
30 dicembre 2024 🐈gattapazza

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