Capanì e Tonino

Immagine generata con AI e modificata
Sto qui poggiato su una cosa di pietra , grande, la pietra ha la forma di un umano con il braccio alzato e ci sono tanti umani intorno non di pietra, ma umani che si muovono, che con la loro scatole in mano fanno dei clic clic, lo fanno spesso, parlano tante lingue arrivano qui in città e vogliono rubare il ricordo di quello che vedono . Credo di essere nato in un posto importante, vivo qui da sempre, da quando ero molto piccolo i miei fratelli dicono che io sono diverso perché sulla testa ho delle piume nere.

Io non piaccio agli umani, io appartengo insieme ad altri tanti miei fratelli a una specie che non cammina in terra noi camminiamo in cielo. Quando qualche umano punta il dito verso di me dice, “vedi un gabbiano”! Allora ho capito che io sono un gabbiano. Tra noi fratelli gabbiani ci parliamo, ma voi umani non ci sentite. A volte ridiamo e urliamo e facciamo molto rumore quando siamo in tanti e voi alzate la testa per guardarci. Ci parliamo per dirci dove c’è cibo, in questo luogo ce n’è molto per noi, sopra i tavolini dove mangiano gli umani e lasciano resti, nelle buste che lasciate fuori la notte e che noi rompiamo per prendere cibo.
So che gli umani non mi sopportano, quando mi avvicino troppo a loro, urlano alzano le braccia, le agitano dicendo “vattene, levati, a volte muovono nell’aria bastoni per cacciarci via . Ma io sono molto forte e so che loro hanno paura di me. La sera insieme agli altri fratelli ce ne stiamo in posti più sicuri. Per dormire, un po’ nascosti dalle persone. Raccontano i vecchi che noi non dovremmo vivere qui ma che il nostro posto è un altro, un posto bellissimo che io non conosco, grande grande e tutto azzurro, i vecchi lo chiamano mare, sono anni che vivo qui, ho fatto l’amore, sbattendo le ali in una danza in cielo ,sono nati piccoli come me dalle uova. Ho fatto l’amore tante volte anche sopra questo cielo e in mezzo a tanto rumore, mentre sotto di me passavano carri con gli umani dentro. Ma sento che questo non è il mio posto.
Però io non mi sono mai allontanato e ora dopo anni passati tra pietre e fontane sono diventato un po’ vecchio, sono stanco di scappare da umani col bastone. Ho deciso!!!
Io posso volare in alto andarmene da qui, ho la testa un po’ nera, forse sono diverso dagli altri, lo so mi sento diverso, allora posso provare ad arrivare al mare prima che passino troppi anni e potrei non esserci più, allora mi sono alzato in volo e ho volato, volato, in alto ho visto la città grande diventare piccola piccola non sapevo esattamente dove avrei trovato il mare, ma so che l’avrei riconosciuto e forse lui avrebbe riconosciuto me.
Ho seguito un po’ il vento e ho visto qualcosa di grande di azzurro che non aveva mai fine. Sopra quell’azzurro tante lucine riflesse dal sole. Allora ho iniziato una discesa planando, lasciandomi cullare dal vento dirigendomi verso quel blu, mi sono avvicinato all’acqua , ho sentito un profumo che già conoscevo, forse è sempre stato dentro di me, ho visto piccoli animaletti luccicanti sotto l’acqua, ne ho mangiato qualcuno, avevo fame. Poi ho visto una cosa di legno molto grande che galleggiava sul mare , sopra c’erano umani che tiravano fuori dall’acqua con delle strane tele animaletti come quelli che ho mangiato io. I miei fratelli gabbiani mi hanno parlato di loro, sono gli uomini che lavorano nel mare, si chiamano marinai, anche loro ridono e urlano come noi gabbiani, allora sono sceso e mi sono fermato sul bordo della barca, su un ferro e li guardavo.

Uno di loro aveva la faccia molto scura e piena di segni, i peli in testa erano bianchi bianchi come le mie piume, mi ha guardato e mi ha lanciato uno dei piccoli animali luccicanti, gli umani del mare li chiamano pesci. Ero contento, era la prima volta che un umano mi dava da mangiare. Era la prima volta che un umano pensava io fossi un amico, che io non fossi cattivo, forse il marinaio pensava che ero uno di loro e ha cominciato a ridere per la mia testa con le piume nere , mi ha chiamato, “capa nira”, capanir, Capanì! Ho capito che Capanì sono io, il marinaio gli altri lo chiamavano Tonino. Prendo il volo e continuo a girare intorno ai marinai. So che a loro io piaccio e allora non andrò più via dal mare. Anche perché non so quanto tempo ancora io sarò capace di volare, non so quanto tempo manca alla mia fine, quella che voi chiamate morte, allora sono sicuro che il tempo che mi è rimasto sarà il tempo del volo sopra le acque azzurre. Volo insieme ai miei fratelli ed è bellissimo per cercare cibo urlando e ridendo e Tonino e i marinai con la loro barca sono sotto di noi, sanno che dove noi troveremo cibo loro potranno mettere nell’acqua una cosa che chiamano “rezza”, quando si fermano in un posto dove noi mangiamo Tonino urla agli altri marinai “iett’a rezz” , che è una tela con tanti buchi, poi aspettano mangiando e bevendo una cosa rossa, allora io mi poso sul bordo della barca e Tonino mi dice, “bravo Capanì, tu sì tuost, tieni a cazzimma ppe fatica’ cu nuje”, mi lancia un po’ del suo cibo e sono contento.
Una notte però è stata brutta, il mare era nero e gonfio, arrabbiato, urlava il vento, urlavano i marinai e urlavamo anche noi gabbiani, avevamo tutti quella cosa che ti fa tremare che chiamate paura.
La barca saltava sopra grandi ciuffi di schiuma sul mare nero, io ho provato a entrare nella barca e Tonino mi gridava “Capanì statt’ accuort”, voleva dirmi di stare attento. Poi tanta acqua è arrivata sulla barca, mi ha avvolto e trascinato, non vedevo niente sentivo solo il legno della barca, mi faceva male un’ ala. Non ricordo niente, forse ho dormito, quando ho aperto gli occhi c’era il sole e io ero su un panno che i marinai usano per asciugarsi quando la loro pelle si bagna. Tonino mi guardava e mi toccava, nessun umano mi aveva mai toccato, diceva “Capanì tu sì tuost, fa o’ brav , arripigliate”, poi ha aperto il mio becco ha messo qualche cosa da mangiare, provava a muovere la mia ala, e se non avessi più potuto volare con i miei fratelli? Se non avessi più potuto vedere il mio mare? Forse quello significa morire? Ma Tonino rideva con gli altri marinai,dicendo, “Capanì ja po’ fa, tiene a capa tosta e nira, chist’è speciale”, ho pensato che se rideva quella cosa che si chiama morte non sarebbe arrivata subito. Magari avrei potuto volare ancora e aiutare Tonino e i marinai. Avrei voluto parlare con Tonino, ma non so parlare la sua lingua e dirgli che se stavo per morire mi avrebbe dovuto mettere nel mare azzurro come era ora. Non conosco la morte ma se la fine di tutto sarebbe arrivata doveva lasciarmi nel mio mare.
O forse no. Forse non era finito tutto, ma noi gabbiani non lo sappiamo quando succede, succede e basta. Allora ho chiuso gli occhi per riposarmi mentre i marnai e Tonino tornavano verso casa, il panno era caldo e il sole mi aveva asciugato. Forse non era finito tutto e sognavo di volare sopra l’azzurro e ridere con i miei fratelli. Forse!
(L’immagine generata con AI è stata modificata, le altre sono personali, ma modificate un po’, ma è un racconto di fantasia e la testa di Capanì doveva essere nera😊), se le frasi in dialetto dovessero essere sbagliate mi scuso con i blogger partenopei🙏🐈
22 marzo 2025 🐈gattapazza

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