
Io mi sveglio prestissimo, mi piace perché mi ritaglio un angolo solo mio.
Il mondo ancora non è rumoroso, qualche luce accesa nelle case, persone che si preparano al lavoro.
Mi siedo in poltrona, guardando il cielo con il suo nero che si trasforma in un azzurro scuro e denso,con il mio caffè in mano, e non vorrei pensare.
Non è così, lo so , di fatto la mente comincia ad agitarsi, ricordi, magari qualche impegno faticoso per la giornata che inizia.
Prima che tutto si metta in movimento provo a far riaffiorare ricordi di me, anche lontani e a quest’ora mi riesce.
La scuola. L’espulsione
Siamo a Piazza Navona , sedute , io e una compagna di classe, anche amica, sono le sette di mattina siamo in mezzo ai piccioni e mentre mangiamo un cornetto caldo affannosamente con la bocca piena ci ripetiamo domande, risposte, frughiamo le pagine dei nostri appunti, in maniera compulsiva.
Oggi compito in classe!
Siamo buffe lo so, anche molto diverse , lei molto carina, capelli in ordine , pantaloni e camicetta in tinta.
Io dopo la mia metamorfosi da ragazzina con gonna a quadri e capelli raccolti, alunna obbediente e tranquilla, da due anni frequentavo un collettivo femminista, ero molto carina anche io, ( facile a quell’età) , una criniera di riccioli neri e lunghi, maglietta e jeans, un po’ di trucco, l’eskimo, 😅 la borsa di tolfa ( ai tempi l’identità iniziava dall’abbigliamento), motorino poggiato alla panchina di marmo.
Sapevo che alcuni professori mi apprezzavano , nonostante avessi insieme ad altri ragazzi occupato la scuola, fatto picchetti per non far entrare gli studenti durante le proteste e sospesa perché un professore mi aveva puntato il dito contro dicendomi di ricordare che le donne erano sempre un gradino in basso rispetto agli uomini.
Quel giorno mi sono trasformata in una iena e dopo essere salita su una sedia , l’ho guardato dall’ alto in basso dicendogli “non credo proprio “!
I miei compagni di classe hanno iniziato a ridere in maniera scomposta e il professore dopo aver chiamato mio padre mi ha fatto avere tre giorni di sospensione.
Mio padre mi venne a prendere , mentre scendeva dall’auto per recuperarmi ha sorriso al Preside e al professore offeso, loro lo aspettavano, per le scuse dovute e per seguire il severo rimprovero che mi avrebbe fatto, non si è scusato mi ha preso per mano e mi ha detto “ andiamo Gigia”( lo amavo, ma sto soprannome non mi piaceva tantissimo), che ne dici se andiamo al mare a mangiare un po’ di pesce?
I due sono rimasti impietriti a guardare me e mio padre che andavamo via ridendo.
Abbiamo continuato a ridere fino alle lacrime ricordando le facce di legno dei due, mi appuntai i tre giorni di sospensione sul petto come una medaglia.
Erano anni durante i quali le donne avevano coscienza che la condizione femminile doveva cambiare, avevo rispetto dei miei insegnanti ma non avevo rispetto di un insegnante che ancora vedeva le donne subalterne agli uomini.
Ero poco più che adolescente , mio padre aveva voluto una figlia femmina e non la voleva sottomessa, obbediente, anzi, mi diceva sempre , qualsiasi uomo incontrerai cerca di camminare sempre un passo avanti a lui, se poi troverai un uomo che ami camminagli a fianco.
Ci ho provato, confesso che a volte soprattutto nel confronto con uomini che esercitavano il potere non sempre ce l’ho fatta.
Ma ci ho provato, sono convinta che le donne debbano continuare a provarci, vedo le ragazze incazzate nelle manifestazioni e rivedo me, con i miei riccioli e i jeans, nei cortei a cantare insieme alle altre, le vedo e sorrido, si va avanti, non fermatevi, non fermiamoci.
5 aprile 2025 🐈⬛gattapazza


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